Il percorso comprende i reperti archeologici, gli oggetti artistici e i documenti archivistici attraverso cui è possibile ricostruire la storia della ricerca archeologica nelle città sepolte dall'eruzione del Vesuvio.
A partire dal 1738 e dal 1748, date di inizio ufficiale degli scavi rispettivamente ad Ercolano e Pompei, che vennero inseriti tra le immancabili mete del Grand Tour preferite dagli studiosi, antiquari e viaggiatori; la città partenopea venne così innalzata al livello delle grandi capitali della cultura europea, grazie anche alla sensibile politica di cura dell’immagine condotta seppure con differente intensità, dalla dinastia borbonica, sia per spirito di mecenatismo, come nel caso di Carlo III, sia per esigenze di prestigio familiare, e proseguita senza soluzione di continuità, anche durante il breve intervallo del decennio della dominazione francese napoleonica (1806 – 1815), sino all’Unità d’Italia. Le visite nelle città dissepolte, come nel Real Museo Borbonico di Portici e poi di Napoli, furono consentite, anche se con le limitazioni dell’epoca, oltre che a regnanti, anche a studiosi e cultori della storia antica, che ne lasciarono testimonianza in testi letterari, poetici, teatrali, ma anche nella letteratura scientifica e divulgativa. Non irrilevante da questo ultimo punto di vista il contributo conoscitivo dato dalla edizione delle incisioni nelle Antichità di Ercolano, promossa dall’Accademia Ercolanese, come dalle successive pubblicazioni delle stampe del Saint-Non, delle litografie dei fratelli Niccolini, e dei rilievi degli architetti francesi. Gli oggetti ed i soggetti iconografici, che riapparivano con vivezza sulle pareti e nelle case pompeiane e che tante testimonianze hanno lasciato nei musei napoletani, venivano riprodotti in disegni ed in opere di pittura e scultura dell’epoca, ma anche nei manufatti cosiddetti di “arte minore”, come nella produzione di porcellana e ceramica, di tessuti e di arredi, raggiungendo rilevanti livelli qualitativi nelle reali fabbriche ed officine napoletane, e persino nella “moda”, divenendo così una vera e propria corrente stilistica e di gusto, in grado di influenzare anche l’architettura non solo a livello locale ma anche europeo.
Si sviluppa, dal punto di vista
strettamente archeologico, un settore della scienza antichistica, la
cosiddetta “pompeianistica”, spesso troppo influenzata da un certo
provincialismo antiquario, ma anche tale da ottenere, grazie
all’eccezionalità dei contesti rimessi in luce, importanti risultati
scientifici, ad esempio riguardo alla conoscenza della pittura antica
attraverso gli affreschi, all’edilizia e alle tecniche costruttive
antiche, leggibili nelle case pompeiane; la cultura e la vita degli
antichi viene ricostruita attraverso le fonti dirette dei testi
filosofici trascritti nei papiri ercolanesi, delle testimonianze vivide
della vita quotidiana, come immagini reali della esistenza e della
morte degli abitanti delle città vesuviane, lasciate graffite o dipinte
sui muri o impresse con istantaneità nei calchi umani.
Non
meno significativi i contributi offerti per l’evolversi della tecnica
di ricerca archeologica e della pratica del restauro, di cui restano
tracce non solo sugli edifici e sui ruderi antichi, ma anche nelle
registrazioni minuziose dei diari di scavo dei soprastanti e nelle
relazioni degli studiosi succedutisi alla direzione degli scavi e del
Real Museo Borbonico, attestate in preziose fonti archivistiche, che
trovarono nell’opera Pompeianarum Antiquitatum Historia
di Giuseppe Fiorelli, un attento e rigoroso editore, primo direttore
del Museo Archeologico di Napoli dopo l’Unità di Italia. La sua
attività illuminata ed infaticabile di “conservatore” tuttora stupisce,
in rapporto ai tempi in cui visse ed operò, per la modernità ed
ampiezza di visione storica e culturale, e la sua funzione di guida a
capo della Direzione Generale di Antichità del Ministero della Pubblica
Istruzione, rappresentò un fondamentale contributo offerto dalla
cultura e dalla tradizione antichistica napoletane allo sviluppo della
scienza archeologica durante la difficile transizione, di carattere
politico e sociale, a cavallo di due secoli e di due monarchie, quella
borbonica e quella sabauda dell’Italia ora unita dal punto di vista
territoriale, ma anche da una nuova coscienza delle sue antiche memorie
da conservare e salvaguardare ai posteri.
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De Caro 1994; De Caro 1999; De Caro 2001b |